La fragranza del pane
Fragrante, profumato, gustoso, morbido, croccante… Poche cose sono buone come il pane buono.
Alimento semplice che nutre e soddisfa, che riempie lo stomaco e i sensi. Perché il pane lo assapori, ma anche lo annusi, lo spezzi e ne senti il frangersi: è lì da vedere; da contemplare, quasi.
Come tanti artisti, infatti, ci hanno mostrato, nel corso dei secoli.
Il pane, che è stata una delle prime benedizioni dell’uomo dopo la cacciata dall’Eden, nuova misericordia concessa da Dio a quei nostri Progenitori che con loro disobbedienza si sono condannati a una vita incerta di fatiche.
«Con il sudore del tuo volto mangerai il pane»,
dice il Creatore ad Adamo.
Come si vede, ad esempio, negli splendidi mosaici del Duomo di Monreale in Sicilia, realizzati in stile bizantino tra il XII e il XIII secolo, con il primo uomo curvo verso la terra a zappare, affaticato, rassegnato. E che tuttavia già sembra pregustare, accanto alla sua compagna Eva, il risultato di tanta fatica.
Duomo di Monreale, mosaici (XII-XIII sec)
Il pane, che quando manca è la fame. È la fine.
È che Dio, nella sua bontà, sa elargire in modo provvidenziale e inaspettato: come avvenne con la manna nel deserto, che non crebbe dal suolo ma cadde dal cielo, come dono gratuito.
«Era simile al seme del coriandolo e bianca; aveva il sapore di una focaccia con miele»,
scrivono nell’Esodo quelli che la provarono. E così la rappresenta l’anonimo pittore che ha fatto di questo soggetto il suo dipinto più bello, tanto che, non conoscendone noi il nome, lo chiamiamo oggi semplicemente il «Maestro della manna».
Anche Gesù, lo sappiamo, volle sfamare la folla accorsa ad ascoltare le sue parole, sprovvista di tutto. Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, così, è di quelli che più amiamo, perché soddisfa un bisogno primario e collettivo, oltre ogni aspettativa, in maniera sovrabbondante.
Lo stupore e la gratitudine degli apostoli, ma anche delle madri, dei bambini, degli adulti, di fronte alle ceste colme di pane è ben visibile nell’affresco quattrocentesco di Maffiolo a Pagliaro, minuscolo borgo dell’alta Valbrembana: un dipinto così semplice da sembrare naïf, ma di grande espressività.
Gesù però lo aveva detto chiaramente, ai discepoli:
«Voi stessi date loro da mangiare».
Il poco che avete, mettetelo a disposizione, offritelo, condividetelo: ci penserò Io, poi, a moltiplicarlo oltre ogni misura.
Un invito che ritorna anche nel celebre discorso escatologico, quando il Cristo si rivolge ai beati che sono ammessi alla gloria celeste proprio
«perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare».
Maffiolo da Cazzano (1480 circa), Pagliaro, Val Brembana,
Già, sulla misericordia, saremo giudicati. Solo su quella. Ecco: dare del pane a un affamato è darlo direttamente a Gesù. Come ci mostra l’incantevole dipinto del Maestro di Alkmaar, un pittore olandese che nel 1504, in Olanda, illustra le “opere di misericordia”
con Gesù che spunta nel gruppo dei miseri e degli affamati, in attesa di ricevere anche Lui la sua pagnotta dalle mani caritatevoli, che si gira a guardarci, , noi spettatori fuori dal quadro, come a coinvolgerci, a interpellarci.
E voi - dice quello sguardo - e voi, cosa pensate di fare?
A noi affamati di vita Gesù ha donato tutto sé stesso.
Il suo corpo, il suo sangue, nel pane e nel vino.
Per questa vita, perché sia eterna.
L’Ultima Cena, con l’evocazione del Mistero eucaristico, ha un tale valore e una tale forza da essere uno degli episodi più rappresentati dell’arte cristiana. E su quella tavola del Cenacolo proprio il pane è sempre in evidenza, naturalmente: pani grandi e piccoli, tondi o schiacciati; michette, biove,
trecce
bretzel, perfino!
Perché il pane è sempre il pane, ovunque. Ma ogni terra, ogni regione, proprio come le lingue e i dialetti, ha voluto dare a questo bene primario la sua forma e il suo aspetto, frutto di secoli di storia e di tradizioni.
Così ogni tavola, imbandita per il bisogno umano, ha in sé qualcosa di sacro.
Anche nelle situazioni più semplici, quotidiane: anzi, soprattutto in quelle.
Come quando la famiglia si ritrova per il pranzo o per la cena, in un giorno feriale o di festa, e il pane condiviso e mangiato insieme rafforza l’intimità e i legami.
Come ci mostra, ad esempio, questo simpatico dipinto di Adriaen van Ostade, in un contesto piuttosto dimesso, eppure con un’atmosfera di gioiosa serenità. E con la pagnotta ben evidenza sul tavolo.
Che poi se c’è la compagnia è meglio, è risaputo. Ma un panino te lo puoi gustare anche da solo. Magari immerso nei tuoi pensieri e assaporando ogni boccone. Ce lo dice lo sguardo del bambino ritratto con fine profondità psicologica dal misterioso, ma straordinario, Maestro della tela jeans: un pittore della seconda metà del Seicento del quale non sappiamo nulla (ma che probabilmente lavora in ambito lombardo), la cui “firma” è proprio in quel tessuto di jeans che ritorna in tutti i suoi dipinti.
Un fanciullo che non ha certo una vita agiata: ce lo dicono i suoi abiti “riciclati” e stracciati. Ma che stringe in mano una focaccia, che ha già cominciato a sbocconcellare. E che può ricordarci che la felicità sta proprio nelle piccole cose.
Credits:
Fragrante, profumato, gustoso, morbido, croccante… Poche cose sono buone come il pane buono.