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Beviamo un caffè? parole di Claudia Saracco - foto di Gaia Menchicchi

«Sai di caffè con la panna» mi hanno detto una volta. Come dire, sai di buono. Di qualcosa che resta attaccato alla pelle anche quando vai via. Il retrogusto amaro e dolce dell’attesa, come un inverno che culla già la sua primavera. Dicembre assomiglia alla mia idea di amore e di riconoscenza. È un mese da bere, caldo e profumato. Un mese godurioso. Lento e cremoso come un cappuccino da sorseggiare lentamente, un balsamo che ti scalda il cuore dopo una passeggiata sotto i portici. E se c’è un po’ di cioccolato sul fondo della tazza va anche meglio.

Le vetrine accese, il ticchettio dei passi sul pavé, la nebbia che ti avvolge e quel profumo che arriva addosso improvviso quando passi accanto a un bar. Profumo di caffè appena tostato che solletica il naso e scende fino alla gola. Profumo di casa. Per questo mi piace. Io che sono venuta alla luce in aprile avrei voluto nascere sotto l’albero di Natale in una notte luminosa come quella della vigilia. Perché dicembre, nella mia testa, è soprattutto questo: un regalo lungamente atteso, da scartare piano. Un caffè soltanto rimandato. Come chi resiste al suo profumo per strada e se lo gusta il doppio, una volta arrivato a casa.

Chiudere la porta e ritrovarmi circondata dalle cose che mi fanno stare bene è un piccolo lusso che ho deciso di meritarmi.

Salire le scale pensando già al libro che mi attende, la poltrona accanto alla finestra dove tra poco mi siederò per guardare il palazzo di fronte accendersi un quadrato alla volta.

Pregustare la tazza calda da tenere tra le mani mentre fuori scende la sera. La promessa di felicità che faccio a me stessa, ogni volta che posso, è non rimandare più niente. Godermi sorso dopo sorso la vita che viene.

Da qualche tempo, in cucina, l’angolo del caffè è a vista: ci sono tazze e tazzine di porcellana bianca, qualche bicchiere alto di vetro - perché sì, è bello vedere le varie consistenze che si mescolano in dolcissime stratificazioni - e la macchina superautomatica Gaggia Cadorna Prestige sempre pronta. Ho deciso di coccolarmi così, ogni volta che ne ho voglia. Ho deciso che il lockdown qualcosa di buono doveva pure avermi insegnato. Per me ha significato ripartire dai piccoli gesti di riconoscenza verso me stessa. Darmi dei tempi più lunghi, respirare a pieni polmoni e intanto guardare quello che succede cerando di non avere più paura.

Semplificare, quando è possibile. Premo un pulsante e in un attimo la bevanda prescelta è in tazza. Il rito del mattino è veloce: cappuccino al bancone della cucina, poi un espresso a metà mattina o una tazza di caffè lungo da sorseggiare seduta alla scrivania.

Il vero lusso viene il pomeriggio, al tramonto. La mia pausa delle cinque ogni giorno è diversa. Il cappuccino XL è una carezza gentile, il cortado una sferzata di energia e il ristretto diventa la mia bussola se la casella inbox è ancora piena di messaggi di posta da smistare. Ho scoperto che mi piace variare le bevande cambiando tipologia di latte: cappuccino con latte di soia, flat white all’avena, latte di mandorla macchiato e così via. In breve tempo sono diventata un’esperta della miscelazione latte/caffè!

La sera, la tisana con l’acqua già caldissima erogata dalla mia macchina è diventata un’altra abitudine irrinunciabile. Poi una camminata intorno a casa per concludere la giornata, rilassare le spalle e sciogliere i pensieri contando le finestre accese dei palazzi intorno e i giorni che mi separano dal Natale.

Guardare il cielo - quante volte lo abbiamo guardato, davvero? - accarezzare il cane della vicina. Sentirsi piccoli e grandi allo stesso tempo, parlando dell’universo e delle piccole cose che succedono nella vita di tutti i giorni. Percepirsi vicini e provare vivere meglio. Un sorriso, quattro chiacchiere che terminano quasi sempre con un invito: «Lo vuoi un caffè? Dai, sali che lo preparo in un attimo».

Created By
Anna Prandoni
Appreciate

Credits:

Gaia Menchicchi