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“Un altro mondo”.

Presentato in Concorso alla 78a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (2021), dove ha ottenuto il Premio internazionale SIGNIS, il film “Un altro mondo” (“Un autre monde”) diretto dal regista francese Stéphane Brizé chiude idealmente la sua trilogia cinematografica iniziata con “La legge del mercato” (2015) e “En guerre” (2018), affreschi dell’odierna condizione lavorativa in Francia e in Europa tutta, sempre più malata di precarietà e di erosione dei diritti fondamentali. Accanto a Ken Loach e ai fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, Brizé si è guadagnato un posto in prima linea nel cinema di impegno civile di matrice europea, attento a raccontare la condizione degli ultimi sul posto di lavoro.

La storia:

Philippe Lemesle (Vincent Lindon) è un dirigente d’azienda che ha passato i cinquant’anni. Dopo tanti anni di matrimonio e due figli, la situazione familiare sembra deragliare: la moglie Anne (Sandrine Kiberlain) chiede la separazione perché è ormai esausta per le assenze dell’uomo a causa del lavoro; il minore dei figli, Lucas (Anthony Bajon), in età adolescenziale manifesta poi improvvise fragilità. A questo si aggiungono inattese pressioni da parte della multinazionale dove Philippe lavora: la sede centrale americana chiede un taglio netto dei posti di lavoro, del personale. In linea anche con le preoccupazioni degli operai della sua fabbrica, Philippe prova a negoziare un piano di risanamento alternativo, ma i vertici sono irremovibili. L’uomo si trova pertanto al crocevia di decisioni spinose e sofferte…

Approfondimento.

Dei tre titoli firmati dal regista parigino, “Un altro mondo” è di certo il più bello e maturo. Stéphane Brizé compone un racconto solido e compatto, capace di scandagliare la drammaticità della realtà odierna, la diffusa e allarmante precarizzazione del mondo del lavoro, offrendo al contempo un timido appiglio di speranza. Un ancoraggio che giunge dal terreno degli affetti, dalla famiglia.

Il protagonista Philippe, tratteggiato con grande mestiere e intensità da Vincent Lindon, attore di riferimento di Brizé (è anche nei due film precedenti), si trova schiacciato in una morsa stritolante: dopo tanti anni di sacrifici sul lavoro, avendo raggiunto il posto da dirigente, i problemi aumentano a dismisura; l’azienda gli chiede provvedimenti sempre più spregiudicati, ai danni ovviamente dei più indifesi. Ancora, l’eccesso di lavoro lo ha portato a logorare i rapporti in casa; lui che voleva garantire a tutti benessere e tranquillità, si sta ritrovando sempre più solo e in affanno.

Brizé compone un quadro dolente e angosciante, non registrando solo la condizione degli operai ma anche dei manager, cercando così di allargare il campo di osservazione alla filiera lavorativa tutta; lavoratori schiacciati da una logica del mercato sempre più schizofrenica e votata al profitto disumano, dove valori e diritti sembrano non trovare (più) posto. Un film doloroso, necessario, di marcato realismo, dove brilla in ultimo anche la speranza: Philippe si oppone alle scelte dell’azienda, pagando un caro prezzo, ma ritrovando se stesso e la propria famiglia. Il futuro è di certo un’incognita, ma non lo affronterà da solo.

Focus Isaia 1, 17.

Pensato sempre nell’ottica del percorso di riflessione proposto dal Centro Pro Unione per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – il richiamo al testo di Isaia “Imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate gli oppressi, proteggete gli orfani e difendete le vedove” (Is 1, 17) –, il film “Un altro mondo” indirizza l’attenzione verso la categoria dei nuovi ultimi: i lavoratori. In uno scenario sociale dove perdono forza diritti e stabilità lavorativa, con l’incremento della disoccupazione, Stéphane Brizé disegna una trilogia dove esplora le varie figure occupazionali in campo: dall’operaio al manager. Apparentemente distanti, entrambe vivono il tormento di una pressione schiacciante, serva di un profitto senza regole. È il versante malato del mercato, quello cui si oppone con fermezza “The Economy of Francesco”, l’idea virtuosa di un cambio di prospettiva e di passo sullo scacchiere economico mondiale promossa da papa Francesco. Come indicato anche nel Sussidio: “I cristiani sono chiamati ad uscire e ascoltare le grida di tutti coloro che soffrono, per comprenderli meglio e rispondere alle loro storie di sofferenza e ai loro traumi”.

Entrando nello specifico del film, il dirigente di azienda Philippe Lemesle – cesellato con intensità e umanità da Vincent Lindon – messo alle strette dalla multinazionale per cui lavora, risponde con integrità valoriale alla spietatezza del mercato: non accetta di licenziare i suoi sottoposti, ma si adopera affinché si percorra un piano finanziario che punti alla salvaguardia sia della produzione che dei posti di lavoro. Il suo agire resiliente e tenace si scontra con la cecità di un sistema economico-produttivo votato al profitto bulimico e feroce, dove la vita umana è un mero accessorio. Philippe presidia la sua idea di giustizia, di rettitudine, correndo il rischio di vedersi a sua volta esautorato; questo però non importa, perché ci sono spesso crocevia nella vita dove occorre operare secondo la logica del “Noi” e non dell’“Io”. E questa luce di speranza che brilla nella mente e nell’animo di Philippe si deve anche alla presenza della famiglia, che seppur malconcia e claudicante, si conferma il valore stabilizzante della vita, della società. Grazie all’amore per i suoi cari, Philippe non si arrende alle sirene seduttive del Male, facendosi capofila di un’idea di giustizia.

Brizé fa un passo avanti rispetto ai precedenti titoli, perché qui la resistenza si impasta di fiducia grazie alla presenza familiare, negli altri il sentiero della protesta deflagrava nella disperazione, sino a gesti più estremi come quello in “En guerre” (2018). Seppur corra su un binario drammatico, “Un altro mondo” non si priva dunque dell’orizzonte di speranza, proprio come avviene nel poetico e dolente “Due giorni, una notte” (“Deux jours, une nuit”, 2014) dei fratelli Dardenne, dove l’operaia Sandra (Marion Cotillard) nonostante venga licenziata dopo un tortuoso calvario, una vera e propria “Via Crucis”, non si sente persa perché accanto a lei c’è una famiglia presente, solida, e un gruppo di amici-colleghi che la sostengono. Quando si sperimenta il valore del Noi, non si ha paura del mare in tempesta. Mai.

Dal punto di vista pastorale, la Commissione nazionale valutazione film della CEI (Cnvf.it) ha valutato il film “Un altro mondo” consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.

Credits:

Un altro mondo