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Il cuore della Terra dallo sfruttamento alla bellezza

Percorrendo l'Autostrada del Sole o la Variante che collega Santa Maria C.V. a Caserta e Maddaloni, in prossimità dell'uscita Casagiove e Caserta Est non si può fare a meno di notare la presenza di montagne scavate, letteralmente divorate dall'azione dell'uomo. Un paesaggio lunare, con le rocce nude che emergono in superficie non più ricoperte dai boschi rigogliosi che un tempo erano floridi dalle nostre parti. Un giardino trasformato in un luogo dove la vita stenta a rinascere, un luogo arido, in cui sembra mancare anche la speranza.

Ma come hanno fatto queste montagne a diventare così? Che fine hanno fatto i boschi ricchi di vegetazione che le ricoprivano e alimentavano antichi culti e leggende popolari?

Parliamo, infatti, dei monti Tifatini, un tempo dedicati alle divinità dell'Olimpo, da Giove tifatino, da cui trae origine la nostra città di Casagiove, alla dea Diana, dea della luna, ma anche della caccia e dei boschi, che vi abitava con il suo seguito di ninfe. Proprio su queste montagne è stata ritrovata la Tavola Peutingeriana, con un'iscrizione che conferma l'esistenza di un tempio dedicato a Giove, da cui deriverebbe il nome della nostra città.

Anche nel Medioevo la ricca vegetazione di questa terra ha alimentato tante leggende, come quella delle fate che vivevano nei boschi , le quali aiutarono gli uomini a trasportare i materiali da costruzione dalla pianura alle alture dove gli uomini stavano costruendo il Duomo di Casertavecchia.

Siamo a Casertavecchia, ovvero Casa- Hirta, il borgo medievale che noi tutti conosciamo, risalente al tempo di Normanni e Longobardi. A quel tempo la popolazione iniziò un ampliamento della cattedrale, costruita in parte con materiali presi da monumenti romani ed altri edifici preesistenti. Attraverso vari studi si è scoperto che le colonne di marmo della chiesa provengono dall’antica chiesa di Calatia e da edifici che si trovavano in pianura. Molti allora si chiesero come avessero fatto a trasportare questi materiali così pesanti senza danneggiarli dalla pianura a Casertavecchia, che è sui monti Tifatini. Infatti a quei tempi non c’erano mezzi che potessero trasportare delle colonne così pesanti, il cui peso era eccessivo per le possibilità di allora. Inoltre, le stradine che salivano a Casertavecchia erano difficili da percorrere, con carico e senza. Si dice che la gente del posto abbia chiesto aiuto alle fate che abitavano i Monti Tifatini, delle creature piccole e graziose che volavano in modo leggiadro come piccole principesse dei boschi. C’erano fatine magre e bassine, erano bionde e castane, ma alcune avevano anche capelli che andavano dal rosa al resto dei colori. Erano bellissime. Queste, con grande generosità trasportarono sulle loro spalle le colonne, volando dalla pianura al monte e regalandoci lo spettacolo della meravigliosa cattedrale di Casertavecchia.

Purtroppo lo stato attuale di queste montagne è dovuto non all'azione erosiva degli agenti atmosferici o a fattori ambientali, ma a quella dell'uomo che, sin dai tempi più antichi ha cercato di ricavare da esse i materiali di cui aveva bisogno per le sue attività, prima tra tutte, quella relativa alle attività di costruzione.

Ma come si spiegano queste attività estrattive della roccia proprio in corrispondenza del territorio della nostra città? A cosa servivano?

Dai tempi antichi l'uomo ha utilizzato i materiali rocciosi per le attività di costruzione. Non dimentichiamo che abili costruttori furono gli antichi romani, che colonizzarono il nostro territorio ( come testimonia la via Appia e le stessa toponomastica della nostra città), i quali usavano come materiali da costruzione la malta ( un insieme di calce, sabbia e pozzolana) ed il tufo.

La scelta di effettuare le attività estrattive proprio in questo territorio, scavando queste montagne fino a sventrarle si spiega considerando la facilità con cui è possibile fare questa operazione e ciò è dovuto alle caratteristiche particolari delle rocce che li compongono. Esse, infatti, sono rocce calcaree ed hanno la caratteristica di essere solubili in acqua, che, penetrando nelle fessure, riesce a sciogliere le rocce e ad arrivare nel sottosuolo formando cavità. canali, grotte e valloni. Questo fenomeno, conosciuto con il nome di "carsismo" perché molto diffuso nella regione del Carso in Friuli Venezia Giulia, si manifesta anche nella nostra zona. Esiste, infatti, tra i comuni di San Prisco e Casagiove, una località che ha un nome particolare, "Centopertose" e chi conosce il dialetto non avrà difficoltà a fare un collegamento con la parola "pertuso" , in italiano "pertugio" per indicare una cavità, un buco. Ma lo stesso nome indica la presenza di molteplici cavità ( cento, per dire parecchie), dovute a fenomeni carsici come grotte, inghiottitoi, doline.

Questa caratteristica della roccia calcarea di essere facilmente estraibile rispetto ad altre tipologie ha spinto gli uomini a strappare alla montagna sempre più pezzi, fino a farla diventare così come la vediamo oggi.

Ma le tecniche estrattive di tanti anni fa erano certamente molto diverse rispetto a quelle dell'ultimo secolo. Immaginate il lavoro lento e logorante di chi nel passato strappava la roccia alla montagna... Usavano scalpelli, cunei, zeppe, leve, seghe, per rompere la roccia cercando il punto in cui essa risultava già crepata, dove si vedeva già un accenno di distacco, per seguire, poi, le pieghe interne della montagna. Era un lavoro estenuante e malpagato, ma guidato da una sapienza antica, di chi quella roccia la conosceva bene ed era riuscito a sfruttare la montagna senza snaturarne l'ambiente.

Essi conoscevano l'importanza di non lasciare la roccia nuda esposta alle intemperie e col tempo lasciavano rinascere la vegetazione anche nei luoghi dove avevano effettuato scavi.

Quei ritmi lenti e rispettosi del ciclo vitale della montagna purtroppo non esistono più e a partire dal secolo scorso l'uso della polvere da sparo, degli esplosivi, dei nuovi mezzi tecnologici per scavare la roccia hanno reso tutto più rapido. Martelli demolitori idraulici, macchine semoventi cingolate, dotate di bracci meccanici con martelli a percussione sono solo alcuni degli strumenti utilizzati in queste attività estrattive, compromettendo inesorabilmente l'ambiente della montagna.

Il termine usato per definire l'attività estrattiva dalle cave è "coltivazione", come se qualcosa potesse crescere in un luogo deturpato e impoverito. Forse in passato non si rendevano conto dei danni causati all'ambiente o forse questa attività aveva contribuito ad alimentare un certo benessere, favorendo l'industria di trasformazione, perché ai piedi delle colline di Casagiove sorgevano tante fornaci, che producevano calce dalla cottura della roccia calcarea.

Molto probabilmente anche la Reggia di Caserta e le dimore e caserme borboniche del nostro territorio sono state realizzate utilizzando anche il calcare dei nostri monti.

Purtroppo, però, la situazione ha iniziato a sfuggire di mano a partire dal secondo dopoguerra, quando sono state abbandonate le antiche tecniche di costruzione per far posto a nuovi materiali, tra cui il cemento e il brecciame. Lo testimonia la differenza tra le case del centro storico, fatte di tufo, e le nuove palazzine e villette moderne, costruite in cemento armato. Il cemento viene realizzato nei cementifici attraverso la macinazione e cottura di una miscela di materie prime, tra cui calcare e argilla, a elevata temperatura di 1450 °C. Esso, unito a sabbia, dà origine alla malta, mentre aggiungendo anche la ghiaia si ottiene il calcestruzzo. A partire dagli anni 50-60, con il boom economico si ebbe sempre maggiore richiesta di costruire nuove case e di conseguenza aumentò anche la domanda delle materie prime da costruzione. Urbanizzazione e cementificazione sono state le due conseguenze maggiori. Da una parte la crescita incontrollata delle città, dall'altra l'avanzata del cemento che ha letteralmente preso il posto delle aree verdi.

Furono così aperte nel nostro territorio ben quattro cave, alcune sconfinanti l'una nell'altra.

Nella foto potete osservare l'immagine di Casagiove presa da Google Earth in cui si possono vedere dove erano posizionate le cave nel territorio di Casagiove fino ad arrivare a San Prisco. Esse hanno lasciato tracce indelebili sull'ambiente, sbranando la montagna in modo irreversibile.

A NE dell'abitato di Casagiove, ai fianchi di Monte Cupo, c'è la cosiddetta cava Maggiò della società INECOMA, chiusa nel 2004. Si può individuare osservando la parete del monte lasciata a gradoni. A poca distanza, a N della città, sul fianco di Monte Cupo c'è la cava Eredi Di Blasio, abbandonata prima del 1985, parzialmente ricoperta di vegetazione. A NO troviamo la cava amministrata dalla società SILMAC, sconfinante nella cava di Croce Santa, a forma di anfiteatro, parzialmente a gradoni, brulla, in cui sono presenti i Bunker per ripararsi dalle esplosioni. A fianco la vecchia cava di Centopertose, al confine con Casapulla, la più piccola di tutte, da lunghissimo tempo abbandonata, al confine con Casapulla, ricoperta da vegetazione.

Nonostante le leggi riguardanti le attività estrattive in Campania prevedessero, accanto all'estrazione dei materiali, l'attuazione di progetti di riqualificazione dell'ambiente, si è badato poco al come e molto al quanto estrarre. Il Piano regionale per le attività estrattive afferma:

"Il recupero del sito estrattivo deve prevedere la sua ricomposizione naturale ed ambientale e il suo riuso. Deve tendere a costruire un paesaggio che si avvicini quanto più possibile a quello presente precedentemente l'attività estrattiva nella specifica zona e nei dintorni di essa. Adotta come criterio generale la ricopertura totale dei fronti di coltivazione per un efficace impianto delle specie arboree e arbustive tipiche della vegetazione esistente. All'interno dei siti estrattivi è vietata la realizzazione di discariche di rifiuti."

Quali sono i danni causati dal consumo di suolo e dall'estrazione della roccia senza gli accorgimenti quali la riqualificazione e risistemazione dell'habitat naturale?

  • Cambiamento del microclima
  • distruzione di ecosistemi ( bosco) e conseguente morte di specie viventi animali e vegetali
  • pericolo di frane e alluvioni

Pensate che i monti Tifatini fanno corona alla città di Caserta ed altri comuni; si estendono per circa 14.800 ettari costituendo un prezioso ecosistema, ricco di elementi di biodiversità. Gli ambienti naturali vanno dal cespugliato alla macchia alta, dal boschetto misto ai prati, agli orti e vigneti. I luoghi ospitano fonti dove albergano il granchio di fiume, la salamandrina degli occhiali e il tritone italico.

A queste conseguenze se ne deve aggiungere un'altra, causata dall'attività illecita di smaltimento di rifiuti e scorie tossiche che negli anni passati in modo particolare sono stati seppelliti nei cantieri gestiti dalla malavita organizzata, sversamenti non autorizzati di rifiuti, come si è scoperto nel 2015 nella località Centopertose.

"Il fenomeno dello sversamento fuorilegge dei rifiuti non accenna a fermarsi nella località Centopertose, dove vengono sversati pneumatici, plastica, materiali di risulta. Per questo il Comune di Casagiove ha deciso di chiudere al traffico la strada e lo stesso ha fatto il Comune di Casapulla"- Appia News

La lotta contro il degrado fu portata avanti da associazioni ambientaliste, che denunciarono nel 2005 la situazione in cui versava il territorio, facendo aprire l'indagine chiamata Operazione Olimpo. Non è stato facile, e addirittura la questione è stata portata a REPORT, la trasmissione televisiva di Raitre, ma alla fine, le cave sono state chiuse.

Leggiamo le parole con cui inizia l'Enciclica "Laudato si'":

«Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».

Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto»

Come è possibile che non ci si renda conto dei danni che produciamo alla nostra stessa casa?

Come possiamo aver dimenticato che abbiamo il dovere di lasciare ai nostri figli la stessa eredità naturale che ci hanno tramandato i nostri genitori?

Come possiamo salvaguardare la nostra bella terra dall'incuria in cui è stata abbandonata per anni? Di chi è la responsabilità? Degli enti locali, di chi gestisce gli affari pubblici o è un impegno di tutti?

Immaginiamo un progetto di recupero e di riqualificazione urbana che faccia diventare quest'area il polmone verde della nostra città. Come si potrebbe ipotizzare il progetto?

Created By
Savina Gravante
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