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Giorgio La Pira profeta di pace

di Vincenzo Grienti

A Pozzallo la brezza marina penetra nei polmoni a ogni ora del giorno. Dalle case bianche, basse, affacciate sul mastodontico porto, la più grande infrastruttura costruita sulle sponde del Canale di Sicilia, l’odore del mare è una costante. Il viaggio della vita di Giorgio La Pira inizia da qui. Da questo piccolo centro di pescatori e naviganti, vera e propria terrazza sul Mediterraneo situata a 90 Km dall’Africa, meta di migranti e di profughi, di donne e di bambini, il “sindaco santo” partì per studiare a Messina e trasferirsi a Firenze dove conobbe tantissime persone. Bisogna ripercorrere le coste della Sicilia orientale, quelle che guardano alla Grecia di Aristotele, a Bisanzio e alla Terra Santa di Gesù, e poi le vie di Firenze, quelle medioevali e quelle rinascimentali, per capire la formazione culturale del giovane La Pira innestata sulla radice profonda della fede cristiana.

Giorgio La Pira nasce qui, in provincia di Ragusa, il 9 gennaio 1904, primogenito di una famiglia di modeste possibilità economiche. Per questo si trasferisce a Messina nel 1921. Qui stringe amicizia con Giuseppe Pugliatti e Salvatore Quasimodo. La Pira è un modello di santità laicale, un appassionato di Cristo e dell’uomo, specialmente di quello più bisognoso. Un profeta di pace che parlava in modo semplice ai grandi della Terra. Un uomo del dialogo che vedeva nelle tre grandi religioni monoteiste una possibilità di incontro. Giorgio La Pira è stato un uomo, un cristiano e poi un politico. Da Pozzallo, nella Sicilia sud orientale, terrazza sul Mediterraneo a poche miglia marine dall’Africa e dal Medio Oriente partì portando con sé una mediterraneità che gli tornò utile in tante occasioni.

Nella Pasqua del 1924 avviene la sua conversione e supera gli atteggiamenti anticristiani. Poi una vita di fede e devozione a Cristo e all’uomo. Ma il grande genio di La Pira, il suo entusiasmo, la sua positività, il suo parlar chiaro a tutti escono fuori già dalla pubblicazione di "Princìpi” nel ’39, rivista antifascista e antirazziale che difende il valore della persona umana e la libertà. Nel ‘40 il fascismo sopprime la rivista. Tre anni dopo la polizia segreta lo ricerca: sfugge all'arresto e ripara in Vaticano come collaboratore dell'Osservatore Romano, così come si evince dalla tessera che gli venne consegnata dal Governatorato.

Passano ancora tre anni. Siamo al 1946: Giorgio La Pira è eletto deputato alla Costituente. Con Moro, Dossetti, Togliatti, Basso, Calamandrei formula i principi fondamentali della Costituzione repubblicana. Da sottosegretario al lavoro, nel 1948, è al fianco dei lavoratori nelle gravi vertenze sindacali del nostro Paese. Nel 1951 interviene presso Stalin a favore della pace in Corea. L’anno successivo è sindaco di Firenze. "Non case, ma città!" disse nel ‘53 prima di iniziare la costruzione dell'Isolotto. Poi lotta per la difesa dei 2000 operai della Pignone e con Enrico Mattei, presidente dell'ENI, potenzia l’industria aprendola ai mercati internazionali

Enrico Mattei e Giorgio La Pira

Sono anni difficili quelli di La Pira: è quel “secolo breve” caratterizzato da due guerre mondiali, dalla paura di un conflitto nucleare, da tanti contrasti, ma anche dal Concilio Vaticano II e dalle prese di posizione di pontefici come Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII. Nonostante tutto il Professore va avanti. Di fronte alla minaccia della distruzione atomica indice il "Convegno dei Sindaci delle Capitali del Mondo" e poi i Colloqui Mediterranei in cui sostiene la libertà per l'Algeria e la pace per il Medio Oriente. E’ questo il sindaco santo: un uomo di fede. Una Fede che riversa nel suo impegno per la giustizia sociale.

Giorgio La Pira a Firenze con i sindaci delle città del mondo

«Stato democratico: sì, proprio perché rispettoso del pluralismo degli organismi che lo costituiscono – disse in un intervento all’Assemblea Costituente -. Quindi democratico nel senso non solo roussoiano – tutti i cittadini partecipano ordinatamente alla formazione della legge ed alla direzione politica dello stato –, ma anche nel senso che i cittadini sono membri attivi di tutto quel tessuto di comunità che fa del corpo sociale un corpo ampiamente articolato e differenziato, una democrazia organica, diversa da quella individualistica. Democrazia nello stato, democrazia nella comunità professionale, nella comunità di lavoro, nella comunità territoriale e così via».

La politica di Giorgio La Pira aveva il fulcro in una spiritualità aperta riconducibile ad una triplice dimensione: la famiglia, il lavoro e la fede. E’ questa la teologia della città che si lega all’icona della casa di Nazareth, alla bottega di Nazareth e alla sinagoga di Nazareth. Il “sindaco santo” era uomo attento al passato che guardava al presente e pensava al futuro. Da Firenze guardava al mondo, ma anche alla condizione umana della “povera gente”.

Quando La Pira arrivò a Firenze per studiare diritto romano con il professore Betti vi trovò un nuovo vescovo, Elia Dalla Costa, un uomo di Dio formatosi nella conoscenza profonda delle Sacre Scritture. Allora La Pira abitava in una cella del Convento di San Marco e lungo quei corridoi, illuminati da una luce di cielo, posava gli occhi sulle Annunciazioni e sulle Natività dipinte dal Beato Angelico. Con la sua sensibilità poetica trasfondeva quelle immagini sulle lunghe ore di studio della Bibbia, della filosofia greca, della Patristica, della Scolastica da Duns Scoto a San Tommaso. È solo tenendo conto di tutto questo che si può capire «come fuori da ogni ribellismo e da qualsiasi schema politico. La Pira si schierò contro le aberrazioni totalitarie e razziste del fascismo, con la sua rivista Principi, per coerenza cristiana. La stessa per la quale subì divieti e persecuzioni dal regime, che tuttavia, per lui divennero «l’occasione felice per riparare in Vaticano, in casa del Sostituto alla Segreteria di Stato Giovanbattista Montini, futuro Paolo VI

Paolo VI e Giorgio La Pira

In quelle stanze del palazzo apostolico La Pira nei primi anni Quaranta venne in contatto con il pensiero e le personalità più rappresentative del cattolicesimo avanzato di Francia, che, in “Esprit” e “Temoignage Cretienne”, con la protezione ed il conforto di monsignor Montini, cercavano di superare certe deviazioni del modernismo, per innestare la rivelazione cristiana nel tronco della cultura classica europea, liberato dalle escrescenze illuministiche della Dea ragione e da quelle nietzciane della “morte di Dio”. Nell’abitazione di Montini La Pira tornò da costituente per confrontare la tesi preparata per la Commissione dei 72 con Dossetti, Fanfani, Lazzati e Moro, con le posizioni social comuniste che monsignor Giuseppe De Luca portava al Sostituto dopo averle ricavate dai suoi incontri con Palmiro Togliatti. Si arrivò così alla formulazione dell’art. 7 che recepiva nella Costituzione italiana i Patti Lateranensi del 1929, e in una visione nuova di solidarismo cristiano, nacque tra il 1946 e il 1947 la carta Costituzionale della Repubblica “fondata sul lavoro”, fuori dagli assolutismi disumani dello Stato etico e da quelli dell’individualismo liberista. Giorgio La Pira fu un politico di altissima statura morale e ricordare oggi gli aspetti sociali dell’esperimento politico che negli anni Cinquanta fece da sindaco di Firenze, assume in particolare due valenze: «La Pira mantenne gli impegni presi con gli elettori fiorentini e volle portare tutti i cittadini ad un livello dignitoso di vita prima ancora di aprire la città ad una missione universale di civiltà e di pace; La Pira non era, come dissero e dicono certi suoi sciocchi denigratori, un compagno di viaggio dei marxisti o “un comunistello di sagrestia”. Era un cristiano coerente che aveva accettato di entrare in politica senza iscriversi ad alcun partito per testimoniare la sua fede in Cristo. Senza guardare in faccia nessuno, La Pira affermò e praticò, con tutti, la priorità assoluta e permanente della pace tra le persone e tra le nazioni, in un tempo in cui il mondo era spaccato in due blocchi».

Nella seconda metà del Novecento la politica estera italiana dette un costante apporto al processo di distensione tra l’est e l’ovest e alla costruzione di un sistema di relazioni amichevoli e di scambi fruttuosi con tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo, a cominciare da quelli del nord Africa, usciti da una tormentata epoca di sudditanza coloniale. Una politica, questa, che assicurò non solo assenza di conflitti armati, ma un eccezionale benessere per l’Italia e uno sviluppo moderno nei paesi ex coloniali. Protagonisti furono Giorgio La Pira, Amintore Fanfani ed Enrico Mattei, pazienti tessitori di una lungimirante azione culturale, politica ed economica che portò l’Italia ad essere l’ago della bilancia tra i due blocchi, quello americano e quello sovietico, e a stabilire buoni rapporti politici ed economici con Egitto, Libia, Algeria, Tunisia e Marocco. E anche il viaggio in Cina dell’Eni per fare le prime ricerche petrolifere e stabilire i primi contatti dell’Occidente con quel grande e allora misterioso paese, fu per iniziativa di La Pira.

In tempi di rigida contrapposizione di ideologie e di interessi economici La Pira si pose al di sopra delle “ragioni di Stato”, riaffermando la suprema vocazione alla pace del genere umano. Nella sua indefettibile devozione alla Chiesa, ricalcò le vie di Santa Caterina, confortando i Papi sulla via della speranza umana e teologale: per i paesi europei “è ora di svegliarsi - scriveva a Pio XII nel 1958 - Come? A che fine? Per produrre altre bombe nucleari? Ma no: per produrre la sola energia nucleare capace di rinnovare il mondo: l’energia teologale della fede, della carità, della speranza: energia di giustizia, di conversione a Dio, di fraternità effettiva degli uomini, fatta per servire e non per essere serviti”.

Pio XII

In quei tempi il professor La Pira, arricchito dalle periodiche riflessioni con il cardinale Elia Dalla Costa, andava spesso a Venezia a trovare il patriarca Roncalli per parlare con lui della necessità di chiudere, anche nella Chiesa, il periodo delle condanne e delle contrapposizioni aprioristiche; per offrire in ogni parte del mondo ai più deboli, agli emarginati la certezza di una casa, di un lavoro ed aggirare così, sopravanzandola, la sirena del rivendicazionismo comunista.

Tra le persone su cui La Pira ebbe grande influenza, c'è Amintore Fanfani segretario della Democrazia Cristiana dal 1954 al 1958. Fu grazie ai suoi incoraggiamenti, infatti, che l’Italia si dissociò dalla avventura franco-inglese che nel 1956 aveva scatenato la guerra contro l’Egitto ed innescato quel conflitto con Israele, che per tanti anni avrebbe poi insanguinato il Medio Oriente, e fu dal sodalizio con La Pira che trasse forza ed incisività il governo presieduto da Fanfani dal 1960 al 1963 che portò l’Italia da paese povero e tecnologicamente arretrato al quarto posto tra i paesi più industrializzati del mondo. In particolare, quando venne la terribile crisi internazionale per i missili sovietici a Cuba si eresse mediatore tra le due parti, riuscendo così nel 1962 a scongiurare la terza guerra mondiale. In quella terribile crisi, rispondendo all’appello di pace che Giovanni XXIII aveva rivolto a tutti i capi di governo, Fanfani su suggerimento di La Pira avanzò la proposta che gli Stati Uniti ritirassero dalla Puglia i loro missili, gli unici in grado di raggiungere il territorio sovietico.

Giovanni XXIII

Gli Stati Uniti accettarono a condizione che i russi ritirassero i loro missili da Cuba. E Kruscev, sollecitato dalla Segreteria di Stato vaticana, ritirò le navi che nell’Atlantico stavano portando altri missili a Cuba. «Nel novembre del 1977, nel giorno del suo funerale, tutti i fiorentini, normalmente freddi, scettici, razionalisti e disincantati nel guardare uomini di tutto il mondo, scesero in strada per applaudirlo con calore e portarono il suo feretro dall’Università al palazzo comunale – ha ricorda Bernabei-. Molti cosiddetti benpensanti ne rimasero sconvolti, forse impauriti, e stesero sulla sua figura di cristiano e di statista una coltre molto spessa di silenzio. Ben vengano perciò le celebrazioni del centenario della sua nascita, per rimuovere quella coltre di silenzio e additare ai giovani l’opera di Giorgio La Pira, che non si rassegnò ad una pretesa ineluttabilità delle ingiustizie sociali, ma si impegnò, con successo, per rimuoverle, rimanendo con umiltà al servizio dell’uomo, creatura di Dio.

Il Professore nello storico intervento del 1947. Il suo genio nella Costituzione repubblicana

Italia, 1945: si accende il dibattito sulla Costituente anche nel corso della Settimana sociale e Giorgio La Pira è tra i protagonisti di questa fase. Il Professore sostiene alcune scelte di fondo che successivamente caratterizzeranno la proposta costituzionale democristiana: la democrazia politica non solo deve essere piena ed effettiva, ma deve essere integrata da una democrazia economica e, più in generale, il patto costituente deve essere orientato in modo da garantire la piena tutela di una serie di valori ed il conseguimento di obiettivi di giustizia. Un anno dopo, nel 1946, La Pira viene eletto all’Assemblea costituente nelle liste democristiane. Il suo impegno nell’Assemblea non fu voluto da lui. Egli si riteneva adatto a un ruolo più defilato di sollecitatore culturale. Tuttavia le pressioni per coinvolgerlo direttamente furono numerose e d’altra parte fondate. La larga notorietà di La Pira anche a livello nazionale spiega come, eletto alla Costituente, sia nominato componente della Commissione dei 75 ed incaricato di redigere una relazione sui principi fondamentali e sui diritti e doveri da inserire nella nuova Costituzione. È interessante notare come le proposte di La Pira apparirono in fondo molto coerenti con quanto elaborato da almeno un decennio nel filone delle riflessioni sui diritti dell’uomo alla luce dell’attualità del pensiero tomista, ma sul piano propositivo anche esplicitamente tributarie di quanto proposto da Mortati in tema di “diritti pubblici” subiettivi e da Mounier in tema di una possibile rinnovata dichiarazione dei diritti dell’uomo. Nonostante un aspro confronto si giunse a un’intesa su quelli che sono gli attuali articoli 2 e 3 della Costituzione italiana, che esprimono le scelte personaliste e comunitarie, il recupero del principio di eguaglianza davanti alla legge e l’impegno della Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

In realtà, non venne solo trovato il nucleo di accordo fondamentale su quello che venne definito il “compromesso costituzionale” fra i partiti di massa, rappresentati nella prima sottocommissione dallo stesso Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Aldo Moro, Lelio Basso e Palmiro Togliatti, ma si scelse di dare vita a una Costituzione rigida. Su questa base di accordo si svilupperà poi tutta la dialettica del confronto costituente durante il quale, accanto a momenti di intese, non mancheranno attriti e aspri conflitti. Quello che resta significativo è che La Pira nel dibattito generale sul complessivo progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione espresse un giudizio positivo, rivendicando esplicitamente i valori cristiani. In quel lavoro di “costruzione della nuova casa sulla roccia”, l’apporto di La Pira è riscontrabile in una serie di articoli, come il 2, 3, 5, 7, 10, 11, 29 ed altri redatti dalla sottocommissione di cui faceva parte. Basta leggerli per ritrovare la visione dello Stato, del cittadino, del lavoro e della famiglia che c’era nel Professore. Le discussioni in aula si protrassero a lungo per tutto il ’47, fino all’approvazione definitiva della Carta costituzionale avvenuta il 22 dicembre con 453 voti favorevoli e 62 contrari. A niente valse un ultimo intervento in aula di La Pira per far aprire il testo con un invocazione al Signore.