Il dibattito sugli OGM è aperto. La Commissione Europea è pronta ad aprire la strada. E’ ancora un argomento per gli addetti di settore o è qualcosa che riguarda tutti?
È importate parlarne. Siamo in una fase di passaggio importantissima. L'Europa finora si è attenuta alla sentenza con cui, nel luglio 2018, la Corte Europea di Giustizia ha stabilito che anche gli organismi ottenuti con le nuove tecniche di editing genomico debbano essere considerati OGM (organismi geneticamente modificati), e quindi soggetti alle stesse regolamentazioni valide per i vecchi OGM. La legge in vigore stabilisce che un OGM può essere autorizzato solo dopo un’approfondita valutazione dei rischi per l’ambiente e per la salute umana, e ne rende obbligatori la tracciabilità, l’etichettatura e il monitoraggio. Ma adesso l’Europa è oggetto di pressioni lobbistiche molto forti da parte delle multinazionali, perché scelga di deregolamentare gli organismi ottenuti con l’editing e i loro prodotti. Pressioni che trovano ampio sostegno dal settore accademico che sta spingendo in questa direzione e che sta cercando l’appoggio delle principali organizzazioni di agricoltori (leggi Coldiretti e CIA). Quindi l'Europa a breve dovrà prendere una decisione. Deregolamentarli vuol dire che i nuovi prodotti modificati geneticamente - cioè i nuovi OGM - saranno immessi in campo senza fare valutazioni di rischio approfondite, come l'impatto sulle reti ecologiche e sulla salute, e non sarà possibile la tracciabilità. Per i vecchi OGM, in Europa siamo riusciti in qualche modo a fermarli, nel senso che solo pochi stati europei hanno consentito la coltivazione (Spagna e Portogallo, Repubblica Ceca e Slovacchia. L’unico OGM coltivato è il MON810, un mais della Monsanto modificato per essere resistente al glifosate e anche produrre tossine insetticide. Dal 1998 l’Europa non ha più autorizzato la coltivazione di altri OGM). Negli stati europei in cui non è ammessa la coltivazione degli OGM (come l’Italia), purtroppo se ne importano tantissimi come componenti dei cibi industriali o come mangimi. Non li coltiviamo però li importiamo, quindi c'è questa grossa contraddizione.
Cos’è un OGM?
Gli OGM sono il prodotto dell’ingegneria genetica, che nasce negli anni ’70 dalla applicazione delle conoscenze e delle tecniche di genetica molecolare sviluppate nei due decenni precedenti. Per arrivare alla genetica molecolare, dobbiamo per prima cosa partire dagli esperimenti di Gregor Mendel nell’Ottocento, quando ancora non si sapeva nulla dell’esistenza dei geni. Va detto subito che il concetto di “gene” è cambiato molte volte da Mendel in poi, e che nemmeno oggi esiste una definizione univoca, precisa, di che cosa sia esattamente un gene. In tutti gli organismi, i caratteri manifesti, come il colore degli occhi o l’altezza, sono influenzati da elementi ereditabili che sono stati chiamati “geni”. Mendel con i suoi esperimenti sui piselli scopre appunto che i caratteri (colore del fiore, forma del seme, ecc…) si trasmettono di generazione in generazione secondo leggi regolari, matematiche, e ipotizza che siano determinati da elementi ereditabili, che solo nel 1909 saranno poi chiamati “geni”. Fino agli anni ‘50 del Novecento, ancora non si sapeva bene quale fosse la natura dei geni. Si era capito che sono posizionati sui cromosomi, i “corpi colorati” presenti dentro il nucleo cellulare che vengono ripartiti in modo uguale fra le due cellule figlie quando una cellula si divide. Ma fu solo nel 1943 che si ebbe la prova definitiva che la sostanza da cui dipende l'ereditarietà dei caratteri è il DNA, quindi che i geni sono composti di DNA.
Dieci anni dopo, nel 1953, J.D. Watson e F. Crick mettendo insieme tutto ciò che si sapeva fino a quel momento sulla composizione del DNA, propongono che la molecola del DNA abbia una struttura a doppia elica. Da quel momento in poi è avvenuta una corsa incredibile. Infatti fino a quel momento si ignorava tutto dei processi chimici che portano dal DNA alle proteine, cioè le molecole che danno forma ai caratteri. Per esempio, l'emoglobina che trasporta l'ossigeno nei sangue è una proteina, e sono proteine contrattili a formare le cellule dei muscoli. Nel ’53 il problema era scoprire come si passa, da quella che Watson e Crick chiamarono “informazione genetica” contenuta nel DNA, alle tante proteine diverse che compongono un organismo. Senza voler entrare qui in dettagli specifici, dirò solo che nel giro di una decina d’anni si scoprirono la natura e il funzionamento del codice genetico (con cui viene letta e trasformata l’informazione del DNA), e i tanti passaggi chimici coinvolti nella traduzione di queste informazioni in proteine.
Fu l’esplosione della genetica molecolare e fu resa possibile dagli sforzi congiunti dell’intera comunità scientifica mondiale. Che al tempo era ancora una vera comunità, nel senso che i ricercatori condividevano idee e risultati, collaboravano e arrivavano insieme alle scoperte. Non c’era, come invece è oggi, la corsa dei singoli gruppi di ricerca ad arrivare per primi al brevetto. Oggi il principale motore della ricerca è l’interesse privato. Dopo la stagione di scoperte degli anni ‘50-‘60, negli anni ‘70 si sviluppano tecniche che consentono di intervenire sul DNA di un organismo, tagliarlo, selezionarne un pezzetto e inserirlo nel DNA di un organismo di specie diversa (perciò si parla di organismi transgenici e di DNA ricombinante). Nasce così l'ingegneria genetica. I suoi stessi scopritori decisero di aspettare a proseguire nella sperimentazione, nel senso: sappiamo come agire, ma non sappiamo esattamente quello che facciamo, cioè non siamo certi di quali ne saranno gli effetti nel tempo. La moratoria volontaria fu seguita, nel 1975, da una conferenza ad Asilomar, California. Qui la comunità scientifica elaborò un protocollo di linee guida per la sperimentazione con il DNA ricombinante, nell’intento di condurre in sicurezza quel tipo di esperimenti.
Perciò la moratoria durò poco e fu seguita dalla grande caccia ai geni che potevano essere brevettati, per ricavarne prodotti da commercializzare con grandi profitti. Da lì si è consolidata questa visione che solo i geni contano e che noi siamo quello che c'è “scritto” nel nostro DNA. Questa visione gene-centrica giustifica tutti gli interventi che si fanno per modificare il DNA degli organismi, sia nei vecchi che nei nuovi OGM. Ma come vedremo più avanti, oggi sappiamo che questa visione è solo parziale ed è troppo semplificata. Con le scoperte degli ultimi 15 anni nel campo dell'epigenetica, il DNA smette di essere il signore assoluto del mondo vivente e si dimostra unito con tutto ciò che vive in una relazione circolare, e non lineare, unidirezionale dal DNA all’ambiente, come vuole la visione gene-centrica. Ma su questo tornerò dopo. La prima pianta OGM commercializzata è del 1996, ed era la soia transgenica, modificata dalla Monsanto con l’inserzione di un gene di batterio che rende la pianta resistente al glifosate, il più diffuso erbicida al mondo, all’epoca coperto da brevetto della sola Monsanto. Cosa vuol dire resistenza al glifosate? Significa che, grazie al gene batterico inserito, la soia produce un enzima che degrada il glifosate. Perciò quando spargo l’erbicida in un campo di soia transgenica, la pianta OGM resiste mentre le altre piante (ovvero quelle considerate infestanti) dovrebbero in teoria morire tutte. Questo però non succede, perché in molte piante spontanee la resistenza al glifosate è presente naturalmente. E così queste piante sopravvivono al trattamento con l’erbicida, si riproducono e l’anno dopo rappresenteranno una quota sempre maggiore delle infestanti nel campo. Invece, secondo la propaganda iniziale per lanciare gli OGM, inserendo la resistenza al glifosate nella pianta stessa, sarebbero stati necessari molti meno trattamenti, perché le piante infestanti sarebbero state eliminate e sarebbero rimaste solo le piante OGM, resistenti all’erbicida.
Seguo gli articoli scientifici dedicati agli OGM sin dall’inizio, da una trentina di anni fa. Il problema che si sarebbero diffuse infestanti super-resistenti all’erbicida fu chiaro fin da subito. Quindi le multinazionali produttrici hanno sempre saputo che, nel giro di 5 anni al massimo, le infestanti resistenti al glifosate avrebbero finito per predominare, perché è normale, perché è il modo normale delle piante di difendersi e di rispondere agli stress. Ma qual è stata la risposta delle multinazionali? Se il glifosate cessa di essere efficace come prima, allora modifico la pianta in modo che sia resistente a più erbicidi contemporaneamente. Non più tardi di luglio scorso, il Dipartimento dell’Agricoltura americano (USDA) ha approvato un mais Monsanto resistente a quattro erbicidi, tutti molto tossici: glifosate, glufosinate, 2,4D (l’agente arancio con cui è stato defogliato il Vietnam e che ancora causa la nascita di bambini deformi) e il dicamba. Ovviamente i campi transgenici vengono irrorati con tutti e quattro questi erbicidi estremamente tossici, nel tentativo (vano) di controllare le infestanti. Poiché le piante modificate per essere resistenti agli erbicidi rappresentano oltre l’84% di tutti gli OGM coltivati nel mondo, non è di poca importanza valutarne gli effetti sulle reti ecologiche e sulla salute umana. Per quanto riguarda gli effetti sull’ambiente, se da un lato questi OGM in pratica selezionano infestanti super-resistenti agli erbicidi, dall’altro sono corresponsabili della grave perdita di biodiversità nei campi. Gli erbicidi abbinati alle colture OGM sono infatti tossici per molte specie di organismi, sia acquatici sia terrestri. Ciò porta gravi danni alla microflora che rende fertile il terreno, e di conseguenza anche alla nostra microflora intestinale, con i relativi effetti squilibranti e patogeni sulla salute umana. Moltissimi studi ormai dimostrano che questi agenti tossici fanno calare drasticamente il numero delle specie selvatiche, sia di piante sia di insetti e altri animali, fondamentali per le catene alimentari (p.e. per gli uccelli) e per tutte le reti ecologiche. Ormai è ampiamente dimostrato che le coltivazioni OGM resistenti agli erbicidi hanno un impatto molto negativo sulla biodiversità. Per quanto riguarda gli effetti diretti del glifosate sulla salute umana, non mancano certo gli studi importanti, Per esempio, uno studio californiano ha trovato una correlazione molto alta tra glifosate e autismo. Donne gravide che vivono in zone agricole della California - fra estesi campi di mais e soia OGM trattati con glifosato e altri erbicidi - sono state controllate in vari momenti della gravidanza. E’ stata misurata la quantità nelle urine di glifosate e di altri composti tossici. Si è trovato che i bambini che durante la vita intrauterina si erano trovati esposti al glifosate, avevano una probabilità di ricevere col tempo una diagnosi di autismo superiore del 30% a quella riscontrata nei bambini non esposti al glifosate durante la fase embrionale. Se poi l'esposizione continuava ancora per il primo anno dopo la nascita (lì si fermava lo studio), la probabilità di autismo con disabilità mentale aumentava del 50% rispetto ai controlli mai esposti all’erbicida.
Sulla cancerogenicità del glifosate per gli umani, da tempo è in atto un forte scontro. Nel 2015 la IARC - ovvero la commissione della OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che ha il compito di individuare e classificare le sostanze cancerogene - ha dichiarato il glifosate “probabile cancerogeno per l'uomo, sicuramente cancerogeno per gli animali”. Sono anche stati cauti, prevedendo - correttamente -che sarebbe stato sollevato un gran polverone contro di loro. Nonostante i numerosi attacchi e le rappresaglie anche personali contro i membri della commissione, quella valutazione non è mai stata cambiata. Il loro giudizio si è basato su una casistica amplissima, una rassegna di decine e decine di studi svolti in tutto il mondo negli ultimi decenni (nonostante ciò, ho sentito un noto genetista italiano pro-OGM affermare alla radio che si trattava di uno studio poco affidabile, perché condotto su pochi! casi). La IARC ha fatto un’eccezione importante. Se in base alle prove disponibili ha scelto di definire il glifosate “probabile cancerogeno” per l’uomo, ha però ritenuto che per una specifica forma di cancro, il linfoma non-Hodgkin, le prove della cancerogenicità del glifosate siano già sufficienti e certe. Tant'è vero che oggi negli Stati Uniti ci sono migliaia di cause intentate contro Monsanto/Bayer da migliaia di agricoltori che usavano il Roundup e si sono ammalati di linfoma non-Hodgkin. Questi poveretti accusano Monsanto di avere sempre saputo quali effetti provocasse il suo prodotto, e di non avere mai avvisato chi lo avrebbero usato dei pericoli che correva. Gli agricoltori hanno vinto tutte le cause finora arrivate a sentenza. Ne restano ancora in attesa di giudizio più di 100.000.
Come nasce un OGM?
Nel caso degli OGM resistenti agli erbicidi, il dato di partenza per Monsanto - la prima compagnia a brevettare piante OGM e a introdurle sul mercato - è stato il fatto di possedere già da tempo il brevetto del glifosate. Negli anni ’90, Monsanto ha usato le tecniche di ingegneria genetica per inserire nel DNA della soia il gene di un batterio del suolo, che controlla la produzione di un enzima capace di disattivare il glifosate. Grazie all’inserzione del gene batterico, la pianta transgenica diventa resistente al glifosate. Ma, come abbiamo già detto, lo sviluppo di infestanti resistenti ai diserbanti, causato da questi OGM, non ha fatto altro che far aumentare la quantità di trattamenti con glifosate e altri erbicidi. Quindi questli OGM non fanno che aggravare il già grave inquinamento chimico dell’ambiente. Per fortuna qui da noi questi OGM non sono coltivati. Perché di fatto vantaggi non ne portano. Anche riguardo alla produttività, dopo le prime frasi propagandistiche hanno smesso di dire che gli OGM producono di più, perché non è vero. Producono come le varietà cosiddette convenzionali, e questo lo dicono i dati raccolti e pubblicati dal Dipartimento dell'Agricoltura americano (USDA).
Un altro tipo di OGM transgenico si ottiene inserendo nelle piante geni del Bacillus thuringiensis (abbreviato in Bt), un batterio molto utilizzato anche in agricoltura biologica per le sue proprietà. E infatti produce proteine insetticide, ad esempio confro i lepidotteri come la piralide del mais. Il dato di partenza di questi OGM è stato il fatto, noto appunto dal suo uso in agricoltura biologica, che il Bacillus thuringiensis produce proteine tossiche per certi insetti. Allora, tramite l’ingegneria genetica, il segmento di DNA del Bt che controlla la produzione di queste tossine è stato inserito nel DNA della pianta da modificare. Cosi sono stati ottenuti, p.e., il mais e il cotone Bt oggi coltivati in milioni di ettari, soprattutto negli USA ma anche in altri paesi. Tutto si è basato - come sempre con gli OGM - sul presupposto della ”sostanziale equivalenza” fra i prodotti della pianta originale e quelli della pianta transgenica. Ma un vero confronto fra le proteine insetticide originali del batterio e quelle prodotte dalle piante Bt NON è MAI stato fatto dalle compagnie produttrici. Nel momento in cui uno scienziato ha fatto questi confronti, sono emerse differenze molto importanti e preoccupanti. Si è scoperto che le proteine insetticide del batterio originale - quelle che sono utilizzate anche in agricoltura biologica - sono prodotte sotto forma di cristalli inerti, che diventano attivi e tossici solo quando vengono in contatto con la mucosa gastrica dell'insetto, cioè dopo che questo li ha ingeriti, per cui la loro azione insetticida è molto specifica. Ma la pianta Bt non produce cristalli; la pianta Bt produce queste proteine in forma solubile e sempre attiva. Le proteine insetticide sono perciò presenti in ogni parte della pianta Bt: nelle radici nel fusto nelle foglie nei chicchi della pannocchia e nel polline. Quindi è evidente che queste proteine tossiche entrano nella dieta umana e animale, e impattano anche gli insetti utili e la microflora del terreno. Inoltre queste tossine possono rimanere nel terreno o raggiungere le falde freatiche e di qui rientrare nella catena alimentare. Ma in base all’assunto della “sostanziale equivalenza”, le proteine tossiche delle piante Bt sono state presunte sicure come quelle naturali. Le proteine insetticide delle piante Bt sono diverse da quelle naturali anche per composizione in amminoacidi e proprietà fisiche, ma si continua a dire che sono la stessa cosa e a non fare esperimenti specifici sulla loro tossicità per l’uomo e gli animali in generale. Dato che uno studio svedese ha trovato che queste proteine insetticide erano presenti nel sangue di donne gravide, sapere quali sono gli effetti possibili di questi composti sulla madre e sul feto non è un problema di poca importanza. Da molti studi emergono, inoltre, effetti ecologici disastrosi. Prendiamo ad esempio il caso della farfalla monarca, una farfalla bellissima che vive negli Stati Uniti meridionali, cioè in zone con estensioni enormi coltivate a mais e cotone Bt. Negli ultimi vent’anni, cioè dopo l’introduzione delle colture Bt, le popolazioni di questa farfalla hanno subito un calo del 90%, cioè sta rischiando l’estinzione, perché si nutre di piante inquinate dal polline Bt.
L’introduzione delle colture Bt in un paese provoca conseguenze che si ripetono ovunque uguali, perciò è istruttivo ricostruire ciò che è successo in seguito all’introduzione dei mais Bt in Sud Africa. Fin dalla prima stagione, gran parte degli insetti si è rivelata resistente alle proteine insetticide delle piante Bt. La risposta delle corporation è stata la solita: hanno introdotto un mais transgenico che produce quattro proteine insetticide nella stessa pianta. Attualmente, i lepidotteri sudafricani sono diventati resistenti a tutte le proteine Bt, per cui oggi il Sud Africa si trova a dover fronteggiare infestazioni incontrollabili. Sempre in Sud Africa, in seguito all'introduzione di questi mais Bt è esploso in forma ancora più grave il problema della diabrotica, un parassita del mais. La stessa cosa è successa negli Stati Uniti e succede ovunque viene introdotto questo genere di piante. Anche in questo caso l’insetto ha sviluppato resistenze multiple, cioè verso tutte le proteine insetticide Bt.
Quindi quali sono stati gli effetti delle colture Bt? Da un lato hanno selezionato popolazioni di insetti resistenti a tutte queste tossine, dall’altro hanno innescato squilibri ecologici di difficile soluzione. Ma alle industrie può anche andare bene questa continua rincorsa dietro le resistenze che gli insetti sviluppano. E’ un po’ un tipo di “obsolescenza programmata”: la loro “soluzione tecnologica” innesca nuovi problemi, per i quali troveranno altre “soluzioni tecnologiche”, in un crescendo vizioso di problemi per gli equilibri ecologici. E per la nostra salute? Qualcuno se ne sta occupando? E’ una domanda retorica. Un altro grave problema creato dagli OGM è quello dell’inquinamento genetico, ovvero il trasferimento di transgeni - i geni estranei inseriti - dalle piante OGM alle colture normali o alle piante selvatiche affini. Con la contaminazione genetica, le colture OGM trasferiscono alle altre piante, oltre ai transgeni, un intero mosaico di elementi genetici di varia origine (tra cui geni per la resistenza agli antibiotici, più altri elementi necessari al funzionamento dell’OGM). I transgeni penetrano nel DNA di altre piante tramite il polline o gli essudati radicali delle piante OGM, diffondendo in questo modo la resistenza agli erbicidi o la produzione di proteine tossiche. In seguito al trasferimento di transgeni per più generazioni, questi elementi estranei si accumulano nei genomi delle piante contaminate, con effetti destabilizzanti e imprevedibili. E ineliminabili. Gli esempi provati di inquinamento genetico sono molti, mi limiterò ai più famosi. In Canada dai campi di colza transgenica sono sfuggiti transgeni per la resistenza agli erbicidi, che si è diffusa anche ai parenti selvatici della colza. Oggi in Canada vi sono nei campi piante che, incrociandosi spontaneamente, sono diventate resistenti a tre diversi erbicidi contemporaneamente. Il Messico dal 2001 sta lottando contro l’inquinamento da transgeni delle varietà locali di mais. Il problema è particolarmente grave perché - essendo la culla del mais – il Messico possiede ancora la maggiore biodiversità del mais. Inoltre, lì cresce il teosinte, la pianta originaria da cui migliaia di anni fa i primi abitatori del Merssico riuscirono a selezionare la pianta attuale. Che succede se si inquina il teosinte? Anche in Italia abbiamo avuto un caso noto di inquinamento genetico. In Friuli nel 2013, intorno al campo seminato abusivamente con mais Monsanto, il Corpo Forestale rilevò un inquinamento genetico del 10% - erano bastati pochi mesi.
In conclusione di questa rapida rassegna sugli OGM transgenici, si può dire che, dopo oltre vent’anni dalla loro messa in campo, i vecchi OGM hanno prodotto risultati molto negativi, e che molti aspetti dei loro effetti sugli equilibri ecologici e sulla salute umana restano ancora non indagati e oscuri. Chiarissima invece è l’accresciuta dipendenza dei coltivatori – e quindi dei paesi per il loro fabbisogno alimentare – da sementi coperte da brevetto e selezioniate, uguali per tutti gli ambienti del mondo, da un pugno di compagnie multinazionali. Meglio quindi respingere gli OGM, attenendosi al principio di precauzione, e affidarsi a colture e metodi di coltivazione rispettosi della terra, di chi la lavora, e di chi si nutre dei suoi frutti. Prevenire è meglio che curare. Già oggi l’agricoltura naturale ce ne dà gli strumenti. Il ricorso ai nuovi OGM, o NBT – tanto caldeggiato dall’apparato scientifico dominante – non è che una tappa ulteriore nel percorso fallimentare fin qui seguito dall’agricoltura industriale, con gli enormi danni, oggi sotto gli occhi di tutti, che sta procurando alla vita sul pianeta. Ma quello sulle NBT è un discorso molto ampio e complesso, che magari possiamo riprendere in una prossima chiacchierata.